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Ferriera: un'evoluzione virtuosa dell'Accordo di Programma è possibile?


Ferriera: un'evoluzione virtuosa dell'Accordo di Programma è possibile?
Un clima collaborativo come nel 2012 potrebbe produrre la soluzione che la politicizzazione esasperata ha finora ostacolato.

Domenica, 6 agosto 2017

La pubblicazione del dettagliato report sull'attività svolta in un anno dal "Comitato 5 Dicembre", offre l'occasione per riassumere i tempi recenti della complessa vicenda della Ferriera di Servola. Provando a usare lucidità e oggettività, evidenziando i punti salienti per arrivare a una proposta operativa percorribile.

Sarebbe però difficile dire dove e come si vuole andare se non si ricorda da dove e come si è partiti.

Nel 2012 lo stabilimento aveva assunto gli inquietanti contorni di una bomba sociale, ambientale, economica.

La proprietà Lucchini era prossima al fallimento, la fabbrica produceva voragini nei bilanci, l'inquinamento era fuori controllo e non c'era alcuna prospettiva di risanamento. Entro pochissimo tempo l'impianto avrebbe cessato di produrre, le centinaia di lavoratori (forse migliaia se sommiamo l'indotto) sarebbero finite in strada, il sito abbandonato a se stesso avrebbe continuato a inquinare pesantemente terreni, mare, acque di falda. Le strutture siderurgiche, inattive e senza manutenzione, sarebbero rimaste lì a tempo indefinito assieme ai cumuli di scorie alti come palazzi.

Uno scenario apocalittico che, oltrettutto, avrebbe impedito per sempre il riutilizzo di un'area di quasi 60 ettari in riva al mare (grande come l'intero Porto Vecchio).

Fu allora che, dopo decenni di manfrine e slalom per schivare il problema, la politica - in senso ampio, come vedremo - si meritò la P maiuscola.
In realtà non fu solo la componente politica nelle istituzioni a mettere mano con serietà alla vicenda, ma fu la città intera.

La Regione, lungo i mesi di agosto e ottobre dello stesso anno, convocò con frequenza un tavolo su iniziativa dell'allora assessore regionale all'ambiente Sandra Savino, giunta Tondo, centrodestra. Bisognava decidere che cosa fare e bisognava farlo in fretta. Per le dichiarazioni d'intenti ben confezionate ma vuote, per i giochini delle parti non c'era più alcuno spazio. La situazione, come detto, era drammatica.

A quel tavolo sedettero tutti. Oltre a Savino, il sindaco di Trieste Cosolini, la presidente della Provincia Bassa Poropat, la Prefettura, l'Autorità portuale, Ezit, le organizzazioni sindacali, le categorie imprenditoriali, tecnici, altri soggetti pubblici e privati. Quella che si definirebbe "classe dirigente", non solo politica, del nostro territorio.

Furono esaminati diversi scenari e, infine, si giunse a una decisione. Da una parte, si sarebbe individuato un consulente (advisor) per esplorare il mercato in ordine a un passaggio di proprietà dello stabilimento siderurgico servolano.

Dall'altra, si riconobbe (finalmente!) che la questione era talmente complicata e rilevante che non poteva trovare sbocchi positivi entro le limitate competenze e risorse locali. Si investì perciò ufficialmente l'allora Governo (Monti, sostenuto sia dal centrodestra che dal centrosinistra) di costruire un percorso a partire dal riconoscimento della Ferriera quale "area di crisi industriale complessa" ai sensi dell’art. 27 del D.L. n. 83/2012.

L'obiettivo, unanimamente sottoscritto, era quello di contemperare salute e lavoro. Puntare, cioè, alla riconversione totale o parziale dell'industria attraverso investimenti privati, provvedere al risanamento ambientale anche con il doveroso supporto pubblico, far adottare misure di contenimento delle emissioni entro i limiti di legge acciocché la produzione - si tratti di quella tradizionale o diversa - possa svolgersi senza recare problemi sanitari.

Con qualche ritardo, la richiesta avanzata al Governo dalla giunta Tondo l'11 ottobre 2012, venne accolta alla fine di aprile 2013.

Da quel momento, è importante sottolineare, la vicenda esce dalle strette competenze locali per trasferirsi alla regia del governo nazionale. A seguito di una scelta saggia, oltre che l'unica possibile. Sostenuta da tutti.

È quindi ridicolo e strumentale un segmento di propaganda politica usato negli ultimi mesi, secondo il quale la "colpa" del fatto che la Ferriera continui ad operare sarebbe da attribuire a un sindaco o all'altro, a un o una presidente di Regione o ad un altro. Si tratta in realtà di un merito e non di una colpa - come abbiamo visto e come vedremo anche più avanti - di tutti. Proprio tutti.


Settembre 2012. Il tavolo regionale sul destino della Ferriera.
Nel frattempo la proprietà viene commissariata, viene decretato lo stato di insolvenza ai sensi della legge Marzano e a fine 2013 viene richiesta la cessione dell'azienda attraverso una procedura di gara.

Si arriva a gennaio 2014 affinché l'iter del decreto nel frattempo diventato legge 174/2012 - quello che appunto istituisce, fra l'altro, le "aree di crisi industriale complessa" da condurre a reindustrializzazione - produca il primo accordo di programma fra i Ministeri interessati (ben 5), Enti locali, Regione, Porto e Invitalia.

L'Adp definisce, in sostanza, che cosa si deve assolutamente fare a Servola in ordine agli interventi di messa in sicurezza ambientale, di riqualificazione degli impianti industriali e con quali presupposti sarà possibile il rilascio dell'Aia.

Contemporanemente si completa l'iter burocratico per la cessione dello stabilimento di Servola e si espleta la gara per trovare un acquirente il quale, oltre a possedere una serie di requistiti, deve impegnarsi a rispettare i contenuti dell'Adp interministeriale già vigente. A ottobre 2014 Siderurgica Triestina Srl subentra a Lucchini SpA e, nel mese successivo, sottoscrive il dettagliato e preciso Accordo di Programma che avvia il percorso verso la reindustrializzazione e il risanamento.

Poco più di anno dopo, a gennaio 2016, si conclude l'iter di rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale a Siderurgica Triestina.

Anche qui, va sottolineato un elemento di oggettività. L'Aia (tecnicamente un rinnovo a seguito di riesame) è un atto dovuto e, in presenza di un Adp sottoscritto e contenente precise condizioni, deve venire rilasciata. Si possono discutere i contenuti, avere opinioni diverse su modalità e tempistiche di adempimento alle prescrizioni. Ma il documento autorizzativo è atto conseguente all'Adp e perciò obbligatorio. Eventuali accuse o obiezioni su questo aspetto sono perciò infondate oppure in malafede.

L'anno 2015 è quello degli interrogativi. Nuova proprietà e, soprattutto, per la prima volta impegni fortissimi, precisi e ai massimi livelli sull'abbattimento degli inquinanti. Sarà la volta buona, davvero si può fare siderurgia senza inquinare?

Siderurgica Triestina è convinta di sì. A precisa domanda, in una seduta del Consiglio comunale appositamente convocata a marzo, i rappresentanti della proprietà rassicurano in modo anche sorprendente: l'obiettivo è emissioni zero. Si teme di aver capito male: intendete emissioni entro i limiti? Viene ribadito che no, proprio emissioni zero. E c'è anche un termine: entro dicembre 2015.

Le cose però vanno diversamente. Le misurazioni riportano sforamenti frequenti e importanti e la situazione a Servola, rispetto all'anno prima quando gli impianti marciavano a ritmo ridotto, è peggiorata.
Il termine autonomamente fissato dalla proprietà scade senza che l'impegno venga rispettato. A gennaio è uguale o peggio e il 31 dello stesso mese il neonato "Comitato 5 Dicembre" organizza un corteo cui aderiscono migliaia di cittadini. Obiettivo: Arvedi deve mantenere le promesse fatte.

La delusione fra la gente in piazza è pari all'aspettativa generata: alta. Perché chi abita a Servola ha vissuto per decenni in condizioni che talvolta sono state al limite dell'ordine di evacuazione d'emergenza. Puntualmente, dalle proprietà succedutesi nel passato, venivano garantiti interventi mitigatori e altrettanto puntualmente non se ne faceva nulla.

Non si contano i tavoli per affrontare la questione, imbastiti lungo 15 anni dalle amministrazioni regionali e comunali, di destra e di sinistra. Tutti ben presto sfilacciatisi nell'inconcludenza, senza risultati. Talvolta a causa di conoscenza solo superficiale del problema e della sua complessità, altre perché qualsiasi azione si fosse promossa, questa avrebbe avuto controindicazioni pesanti o sulla salute, o sull'occupazione. Così, la politica si è limitata a ciò che sa fare meglio: tirare a campare, se ne occuperà chi viene dopo.

Con Arvedi, però, è stato diverso. Come detto all'inizio, elevare il tema a livello nazionale è stata una decisione bipartisan opportuna. Il percorso era (ed è) sulla carta, virtuoso e saggio. Ma, paradossalmente, i nuovi proprietari e le amministrazioni in carica (i meno responsabili di tutti, a ben guardare) si sono beccati proteste e ostilità come mai è capitato a nessuno di quelli che prima inquinavano davvero e copiosamente. Come spesso succede, insomma, sugli ultimi arrivati si riversano tutte le negatività stratificate da quelli che li hanno preceduti.

Ovviamente Siderurgica Triestina ha le sue pecche, da condividere con le amministrazioni che ne hanno tessuto lodi sperticate, nell'aver insistito su una narrazione distante dalla percezione dei cittadini. Elencare con enfasi problemi risolti e cose fatte - che sono vere, va riconosciuto, ma altro non sono che l'ottemperanza a precisi obblighi - quando però i balconi sono ancora cosparsi di polveri nere e l'aria che si respira non sembra un modello di salubrità, produce diffidenza. Quantomeno.

Il resto è storia recente. Una seconda manifestazione di protesta a ridosso delle elezioni amministrative del 2016 non ha più come obiettivo il rispetto delle regole. Si passa a ritenere fallita l'esperienza tracciata dall'Accordo di Programma e quindi a invocare la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento. Cosolini, sindaco uscente, e la governatrice Serracchiani hanno una posizione diversa: si completino tutte le azioni previste dall'Adp e dall'Aia. Se saranno efficaci, bene. Se no, si dovrà intervenire diversamente a tutela dell'ambiente e, quindi, della salute. La linea non viene gradita ed è comunicata balbettando, cosicché entrambi sono oggetto degli strali dei manifestanti.

L'occasione è elettoralmente ghiotta e in molti vi ci tuffano. Roberto Dipiazza si impegna a costruire (entro i famosi primi 100 giorni) un percorso che porterà alla chiusura dell'area a caldo della Ferriera. Il M5S è un po' più cauto, ma sostiene la praticabilità di azioni comunali, attraverso ordinanze, per raggiungere il medesimo obiettivo.

Nei cittadini non c'è fiducia sull'affidabilità di Arvedi, né in chi, seppur rilevando qualche criticità, ne sostiene la validità dell'operato (e la nessuna alternativa). Incidono molto l'esasperazione e le inesistenti o fallimentari soluzioni somministrate loro nei lustri precedenti.
Pesa anche l'opacità comunicativa di ST, Regione, Comune. Se al posto di roboanti annunci e autoincensazioni, si fossero rivolti all'opinione pubblica dicendo chiaramente le cose come stanno - ad esempio che i risultati non arriveranno subito, che gli interventi si svilupperanno lungo un arco temporale di oltre tre anni, ecc. -, ne avrebbero guadagnato in credibilità.
Il prosieguo, seppur con un orientamento fisiologicamente di parte e con l'aggiunta di opinioni ai fatti, è riassunto nel report del "Comitato 5 Dicembre".

Dopo la sintetica e non esaustiva parte storica, proviamo ribadire, come nei telefilm americani, "tutta la verità e soltanto la verità". Quella che ci si sarebbe aspettati da ogni parte (taluni ambientalisti inclusi). E senza la quale è difficile si creino le condizioni per progredire.

La verità è che nessun sindaco ha il potere di chiudere alcunché. Nè di intervenire sull'operatività di aziende private, se non in presenza di limitatissime, specifiche circostanze.
La verità è che il rinnovo dell'Aia per la Ferriera, dopo la sottoscrizione dell'Accordo di Programma, era un atto dovuto e obbligato. Non dipendeva né dall'umore della Regione, né dal suo orientamento politico. 
La verità è che l'assenso o meno dei Comuni, in sede di conferenza dei servizi per il rinnovo dell'Aia, è reso con valore meramente consultivo. I Comuni non bloccano né avviano alcunché. Ogni altra considerazione può essere utile per fini propagandistici e per niente di concreto.
La verità è che il presidente della Regione non può sospendere né, tantomeno, revocare l'Aia. Se non in determinati ed estremi casi che, per la Ferriera e al momento, sono lontanissimi dall'essersi verificati.
Tutto questo in base a leggi vigenti, non secondo una personale opinione. Conosciute da sempre. È quindi evidente che prospettare di compiere atti fuori dalle leggi o invitare altri a farli, è un esercizio estemporaneo e buono solo per ottenere qualche titolo di giornale.

Ma, naturalmente, c'è molto altro che invece - e volendo - si può fare.

Quello della Ferriera non deve più essere un tema partitico. Ogni partito politico che se ne impossessi per usarlo ai propri fini in un senso o nell'altro, compie un danno e allontana la soluzione. I vent'anni trascorsi (quasi) invano stanno lì a dimostrarlo.
Quello della Ferriera è invece un tema ambientale e industriale. Che va gestito da una collettività intera - e da chi la rappresenta - in modo unitario e serio. Come, appunto, si fece per alcune settimane nel 2012.

Non esistono soluzioni semplici: la complessità richiede un approccio articolato, evitando di focalizzare solo un settore del problema.

Abbiamo sentito dire che "l'area a caldo va chiusa subito e i lavoratori troveranno altro, già tanti hanno perso il lavoro, quelli della Ferriera non sono speciali". Non è un modo serio di discuterne.
Dall'altra parte, è stato detto che "la Ferriera è lì da prima delle case, i servolani la smettano di lamentarsi". Non è un modo serio di discuterne.

Se si recuperasse lo spirito trasversale e lucido che la città dimostrò di possedere quando la situazione stava sfuggendo di mano a tutti, si potrebbe ipotizzare di costruire una "fase 2" del percorso già tracciato e tutt'ora seguito. Così.

Partiamo dall'assunto che una cokeria, o l'intera area a caldo, se non fosse pre-esistente, oggi non verrebbe mai autorizzata a venire installata lì dove si trova. Ipotizziamo che le prescrizioni Aia, a scadenza, risultino tutte scrupolosamente osservate. Che le emissioni saranno entro i limiti di legge (in parte già lo sono) e che ogni problema sanitario sarà superato. Sappiamo però che taluni disagi e il vulnus di compatibilità tra un'industria di quel tipo e la densità abitativa circostante non potranno mai venire eliminati.

Consideriamo, d'altra parte, che il comparto industriale a Trieste è da tempo a livelli paurosamente bassi. Il mix economico e occupazionale di un territorio difficilmente regge se l'industria non costituisce almeno il 15-20% del Pil. Qui siamo sotto il 10%. Ogni pezzo di secondario è perciò prezioso così come lo sono, ovviamente, i posti di lavoro stabili che genera.

Consideriamo, ancora, che c'è un imprenditore cha fa siderurgia e che su quell'area ha investito non poco anche in nuova produzione (laminatoio). Uno che magari non è mister Simpatia, ma che fa null'altro che il suo mestiere. Molto meglio, sotto tanti profili incluso quello degli investimenti ambientali, di quelli che l'hanno preceduto. E con il quale si può trattare solo in termini di business, come ogni imprenditore.
C'è, infine, un Adp nazionale, dove Governo, Regione, Porto, Enti locali e investitore privato hanno concordato un percorso. All'epoca e finora, il migliore possibile.

Si tratta di vedere se questo percorso, tre-quattro anni dopo, può venire ulteriormente migliorato. Riprendendo in mano quell'Accordo di Programma - a Roma, non su qualche tavolino locale - e verificando se sia possibile scomporlo e ricomporlo parzialmente, continuando a contemperare le esigenze di pubblico e privato.

Per l'area a caldo è terapeutico ma inutile chiederne unilateralmente la chiusura: va esplorata la possibilità di sostituirla con un business industriale diverso. Che sia parimenti o maggiormente remunerativo per l'imprenditore, altrimenti è tempo perso. Non è una specificazione banale. Si tratta di passare da un'atteggiamento divisivo e di contrapposizione di interessi a uno inclusivo e di compartecipazione ai benefici.

Proviamo a vedere come.

Il Piano Regolatore Portuale prevede la costruzione del secondo lotto della Piattaforma logistica proprio davanti la banchina e il parco fossili della Ferriera, della quale diviene parte integrante. A sua volta, nel lungo termine, quella diventerà la radice del nuovo Molo VIII.
Il primo lotto della Piattaforma logistica è già in costruzione, con lo strumento del project-financing che consente di ottenere un'infrastruttura pubblica con la partecipazione finanziaria di privati, i quali si ripagano l'investimento attraverso la gestione della stessa.
Lo stesso gruppo Arvedi, nel piano industriale del 2014 allegato all'Adp, ipotizza la dismissione della cokeria se le condizioni di mercato la renderanno conveniente.


La nuova Piattaforma Logistica. Primo lotto (in verde) e secondo lotto (in giallo). In azzurro, il Molo VIII.
Mettendo insieme questi fattori, è possibile prospettare al gruppo Arvedi la sostituzione del business di produzione (almeno) del coke a Trieste con quello di operatore logistico e terminalista portuale?

Qualche anno fa, quando si sottoscrisse l'Adp, i tempi non erano maturi. A un'industria siderurgica, unica offerente per l'acquisizione della Ferriera, non si sarebbe potuto chiedere nulla di più di quanto si è ottenuto. Pena il rifiuto dell'operazione e l'abbandono del sito al suo infausto e inquinante destino.
Oggi è diverso. Il rilancio dello strumento del Porto Franco grazie al decreto per la gestione amministrativa e la ritrovata strategicità dello scalo giuliano offrono concrete prospettive di crescita dei traffici e delle attività industriali ad essi collegate. Il business, vero, parrebbe esserci, come dimostra l'interesse di numerosi player internazionali del settore.

Oggi è il momento giusto per esplorare concretamente questa possibilità. Che, se dovesse rivelarsi percorribile, vedrebbe tutti vincenti.

Che cosa serve per verificarla? Serve una classe dirigente all'altezza, capace di lungimiranza, pragmatismo, visione. Che sappia cogliere una nuova opportunità di negoziazione per perseguire interessi collettivi da abbinare a quelli, legittimi, privati.

La precondizione è l'abbandono delle sciocche e dannose contrapposizioni politiche e con esse la ridicola suddivisione in buoni e cattivi, la becera propaganda, i toni da guerriglia, la strumentalizzazione elettoralistica.

La posta in gioco non è solo il superamento della pluridecennale "questione Ferriera". È prendere quanto di buono è stato fatto finora e trasformare una residua criticità in una ghiotta opportunità per Trieste, per l'economia della nostra città e del Friuli Venezia Giulia. In linea, peraltro, con il ruolo che il nostro Porto punta a rivestire lungo la "Via della Seta" e con la conseguente attenzione che sta ricevendo dal Governo nazionale.

I Comitati ambientalisti hanno avuto il merito di tenere alta l'attenzione sul tema. Con il difetto di essere caduti nella trappola del solito vecchio gioco politico delle parti. Come, del resto, è accaduto dal lato opposto, quello sindacale. Entrambi potrebbero ora svolgere una funzione nuova e più alta dal movimentarsi per una difesa dell'esistente senza se e senza ma o, viceversa, per provvedimenti fantasiosi che non arriveranno mai.

I cittadini-elettori-lavoratori-residenti dovrebbero pretendere dalla "classe dirigente" - che, ripeto, non è solo politica - coesione, serietà, verità, capacità di rivestire il ruolo. Prendendo consapevolezza di essere loro le prime vittime, assieme alla città intera, se consentiranno che la siderurgia locale mantenga il timbro elettoralistico: si produrrebbero ulteriori illusioni cui seguirebbero inevitabili delusioni, sfiducia, incazzature.

Un salto di qualità e una prova di maturità collettiva, dunque. Senza contrapposizioni da pollaio. Sul piatto il tornaconto di una città, non esclusivamente di qualche partito o di un privato o di una categoria. Si può fare?


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