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TRIESTE, "CASO" VENDITTI: I FATTI, LA RISPOSTA DEL CANTAUTORE E LA MIA REPLICA.

L'intervento di Antonello Venditti su Facebook a seguito delle polemiche sollevate dal mio post
(vedi immagine in fondo alla pagina).

Caro Antonello,


ho sollevato io il “caso” con un mio post su Facebook. Mi sembra perciò opportuna una risposta al tuo intervento qui sopra, dove fornisci precisazioni.

Sono anch’io un Italiano libero. Ho assistito al tuo spettacolo a Trieste - la mia città - e, liberamente, ho espresso apprezzamento, critica, disappunto. Con pacatezza, come si può constatare dal testo che riporto qui e in calce. Non ho seguito alcuna “lurida legge” se non quella che mi consente di dire pubblicamente ciò che penso. E che, spero concorderemo, è tutt’altro che lurida.

La citazione delle Foibe è stata, quanto meno, inutile. Se non volevi parlarne, a che serviva farne riferimento? Il taglio e il tono della frase, a parere mio e di tanti altri, è stato quello che si usa per accantonare questioni di minore importanza. Infatti in sala è calato un gelido silenzio. Credo te ne sia accorto.

Immagino eri a conoscenza che, solo poche settimane prima di te, su quello stesso palco del Teatro Rossetti, Simone Cristicchi andava in scena davanti a una marea di spettatori con la prima nazionale di “Magazzino 18”. Esodo e Foibe finalmente raccontati, spiegati, denunciati. 

Finì con il pubblico in piedi a profondersi in un applauso che non finiva mai. Occhi lucidi, groppi in gola, bandiere tricolori alzate dalla platea. Fu liberazione, gratitudine, amore. Hai una sensibilità sviluppata, credo tu capisca cosa intendo. E no, non siamo stufi di sentirne parlare: abbiamo appena cominciato a farlo per davvero.

Poi, non lo so se c’erano fascisti in sala durante il tuo “Ritorno al Futuro”. A differenza tua - “speriamo di no”, dicevi – io spererei di si. Insieme a comunisti, democristiani, agnostici, grillini, etero, gay, ingegneri, studenti, pittori, casalinghe, credenti, atei. Perché io non frappongo barriere verso nessuno. Sono un Italiano libero, io. Liberamente ero lì per ascoltare la tua musica, come tutti gli altri. Senza chiedermi come la pensasse politicamente chi siede vicino a me in un teatro. Credo di non essere stato il solo: la tua battuta è andata a vuoto. C’hai aggiunto la pausa sospensiva, quella che si usa per favorire l’applauso. Hai ottenuto, anche stavolta, fredda indifferenza.

Potrei pensare male: l’hai fatto apposta, sperando scoppiasse il casino. Il noto principio del “bene o male, purché se ne parli”. Ma potresti pensare lo stesso tu di me. Quindi azzeriamo i sospetti.

Rimane la tua musica. Quella che ha accompagnato la mia adolescenza. Potrei riascoltare i tuoi brani sia tirando fuori dalla sua busta un 45 giri, sia selezionando un mp3 sul touch-screen. Perché la tua musica ha attraversato epoche e anime. Portala ancora nelle piazze e nei teatri. Porta la tua arte ai tantissimi che l’amano. Ma non calare barriere. Lì, sotto il tuo palco, fuori dai riflettori, ci sono vite diverse. Ognuna con una sua fantastica storia. Che va rispettata.

Paolo Rovis
Italiano e Triestino. Libero.



Il post originale, pubblicato dopo aver assistito allo spettacolo.


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